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Ancora sgomento a Sestola e Fanano per la morte di Aurelio Marchioni che si è ucciso buttandosi dal ponte Leo dopo aver appreso della tragica morte del figlio, caduto nel Dardagna. “Quell’uomo non doveva restare solo” attacca Franco Piacentini dell’associazione vittime della strada.

SESTOLA (Modena) – E’ anche un dramma della solitudine quello che ha colpito la montagna e che fa discutere. E forse consentirà di migliorare le procedure di assistenza immediata per chi ha subito un lutto.
Il figlio si tuffa in un torrente per fare il bagno, batte la testa sulle rocce e muore. Il padre viene chiamato per riconoscerlo e poco dopo decide di raggiungerlo gettandosi in un altro torrente. Perché? Tutti se lo chiedono. Perché proprio a Fabio e Aurelio. La solita scusa del destino amaro non basta proprio, neppure a Sestola. Poi, però, nel momento del dolore e – per chi crede – della preghiera, c’è una domande a cui trovare risposta Alle briglie del Dardagna, proprio al confine tra i comuni di Fanano e Lizzano in Belvedere – tra Modena e Bologna – sono presenti le forze dell’ordine, il personale sanitario e chi ha recuperato Fabio. Arriva Aurelio Marchioni. Dopo aver riconosciuto il figlio morto riparte in auto. Lo aspettano a casa, o all’Hotel del Corso di Sestola, l’albergo di famiglia. Non ci arriverà mai. A pochi tornanti di distanza da dove gli si è bloccato il respiro, parcheggia la macchina. Scende, avvolto da un gelo che cala dai monti e che sta facendo abbassare le temperature ma che a lui pare nascere da dentro. Scavalca il guard rail e in un lampo ritrova il suo Fabio. La sera diventa notte e i parenti non lo vedono rientrare. Le ricerche si concludono all’alba. Fin qui il racconto e i perché a cui si risponde con l’amarezza del destino.
Ma come mai questo padre distrutto dal dolore è andato via solo? Se è previsto dalla procedura, bisogna cambiarla e, come dicono anche in montagna, usare la testa. Riscrivere il manuale. C’è chi per forza non si può allontanare dal luogo di un decesso, ci sono obblighi. Ma chi ha subito un lutto non può essere lasciato solo. Magari si potevano chiamare uno, dieci, cento amici. Ci sono poi protocolli di sostegno che vengono attivati anche in fretta, ad esempio per i famigliari delle vittime della strada, ma ci sono casi in cui l’assistenza deve essere immediata. Non per evitare quello che forse sarebbe solo stato rimandato di giorni o settimane, qui torna in ballo il destino e, per carità, non ci sono colpe. Serve un protocollo di buon senso, anche per aiutare i professionisti e i tanti volontari impegnati in momenti così difficili.

La tragedia dell’Appennino riporta al centro dell’attenzione il problema della fragilità psicologica di fronte a un lutto improvviso. Franco Piacentini, presidente dell’Associazione Famigliari Vittime della Strada, ricorda che è attivo presso l’AUSL un apposito servizio di sostegno psicologico per questi traumi. Ascolta le sue parole.

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