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Scoperta la lapide che reca la frase secondo cui il Ducato asburgico-estense fu “tra gli antichi Stati che diedero vita al Regno d’Italia”

MODENA – Cronaca di una delle mattinate più strane che Modena abbia vissuto negli ultimi quattrocento anni: aperta dal plotone dei soldati d’Asburgo Este, in sfilata con tanto di baionette, ai piedi di un incredulo Ciro Menotti; e proseguita col plotone stesso che, un po’ a sorpresa, fa il “presentat-arm” all’Inno di Mameli, seguito da quello Asburgico (oggi inno nazionale tedesco). La Storia esce rimescolata dalla scopertura della lapide secondo cui il Ducato asburgico-estense fu “tra gli antichi Stati che diedero vita al Regno d’Italia”, frase ritenuta aberrante da circoli culturali e associazioni, dai mazziniani ai garibaldini, senza dimenticare chi ancora celebra a Modena i ricordi di Menotti, Borelli – impiccati per ordine del Duca Francesco IV. “D’altra parte Ciro Menotti era un sovversivo” dicono, “normale mandarlo al patibolo all’epoca”. Si sente anche questo in Piazza Roma, che i partecipanti vorrebbero ribattezzata “Piazza Ercole d’Este”. C’è pure la contestazione, evocativa essa stessa non c’è dubbio: un uomo con bandiera tricolore che prima inveisce contro il principale organizzatore dell’iniziativa, l’ex senatore Carlo Giovanardi, e poi rifiuta per oltre un’ora di allontanarsi – pazientemente le forze dell’ordine provano a convincerlo, poi lo allontanano, disarmandolo dell’asta di bandiera con cui aveva mimato – e fortunatamente solo mimato – una singolar tenzone con l’asta asburgica: certo, vedere un uomo col tricolore portato via al cospetto dell’esercito ducale fa un certo effetto. Al fianco di Giovanardi il Conte Clemente Forni e il commendator Alessandro Magiera, che Giovanardi lo fa arrabbiare distraendosi nel momento più solenne rispondendo al telefonino. Poi c’è l’ultimo erede dei Duchi, allontanati da Modena per l’ultima volta nel 1859, che ci svela come in realtà gli Asburgo-Este avessero l’Unità d’Italia in cima all’agenda, e che non volessero affatto impedirla. In fin dei conti sarebbe bastato scrivere queste esatte parole, e non quelle che la lapide ora reca, per evitare polemiche e risvolti grotteschi. Ne è convinto anche il fotografo Beppe Zagaglia, memoria storica della città, che a parole – come nei suoi celebri scatti – ci offre una perfetta sintesi della giornata.

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