Non si placano le polemiche sul mancato ergastolo a Salvatore Montefusco, che secondo la corte d’Assise di Modena ha agito per motivi “umanamente comprensibili”. Oggi abbiamo raccolto la testimonianza di Elena Tiron.
MODENA – All’indomani delle motivazioni della sentenza che ha condannato a 30 anni di carcere Salvatore Montefusco per il duplice femminicidio di Gabriela Trandafir e della figlia di lei Renata, non si placano le polemiche. Nel dispositivo della Corte d’Assise di Modena, che ha riconosciuto le attenuanti all’assassino, si legge che “la situazione che si era creata nell’ambiente familiare ha indotto Montefusco al tragico gesto, compiuto per motivi umanamente comprensibili”. Siamo increduli ha commentato l’avvocato dei famigliari delle vittime Barbara Iannuccelli mentre oggi ad intervenire è la sorella di Gabriela, Elena Tiron.
Interpellati, né la presidente della corte d’Assise Ester Russo, né il presidente del Tribunale di Modena Alberto Rizzo, hanno voluto rilasciare dichiarazioni. Dichiarazioni che hanno raccolto lo sdegno bipartisan della politica. “Non è accettabile che atti di tale gravità possano essere in qualche modo ‘giustificati’ dalla rabbia dell’omicida, motivata dalla percezione personale di aver subito un’ingiustizia. Non possono e non devono esistere ragioni, che giustifichino un duplice omicidio” – ha detto la deputata modenese di Fratelli d’Italia Daniela Dondi. “Sembra che uccidere due donne a fucilate possa non essere sufficiente per comminare la massima pena prevista” – dicono invece la Portavoce della Conferenza delle Donne democratiche Patrizia Belloi e il segretario della Federazione provinciale del Partito Democratico Stefano Vaccari. Non possono esistere motivi umanamente comprensibili per un duplice omicidio – aggiungono. “Mentre Gabriela ed Alexandra chiedevano l’aiuto della legge per dirimere una situazione che il figlio minore ha definito “una guerra in casa”, il femminicida ha preso la decisione di munirsi di un arma – che non poteva detenere e ucciderle. Un’esecuzione patriarcale – secondo l’Associazione Casa delle Donne contro la violenza, parte civile nel processo.