Continuano le ricerche di Andrea Cavallari evaso dalla Dozza dopo aver discusso la laurea in Giurisprudenza. Secondo il garante dei detenuti i permessi premi restano fondamentali per il recupero
BOLOGNA – “Permessi premio o il lavoro esterno non vanno assolutamente demonizzati, bisogna riflettere invece sulla totale assenza di percorsi dedicati alle vittime, capaci di riconoscerle pienamente e di stimolare negli autori dei reati una reale assunzione di responsabilità”. A dirlo è Roberto Cavalieri, garante dei detenuti dell’Emilia Romagna secondo cui “occorre chiedersi se la giustizia riparativa potrebbe rendere percorsi detentivi come quello di Cavallari più significativi e realmente trasformativi, soprattutto in vista della concessione dei benefici”. Il Garante interviene così sulle polemiche per la mancata scorta assegnata al giovane durante il giorno della laurea. Una decisione presa sulla base della buona condotta di Cavallari in questi anni di detenzione, e per aver già scontato poco più della metà della sua pena. Se da una parte dunque si va all’attacco, chiedendosi come sia stato possibile, dall’altra risponde “no a strumentalizzazioni” Salvatore Bianco della Fp Cgil di Bologna -. Certo quello che è accaduto è in palese contrasto con un affidamento fiduciario che è alla base di ogni permesso accordato al detenuto. La preoccupazione del sindacato è che un singolo comportamento incida su decine di altri analoghi permessi che quotidianamente danno buona prova e vanno nella direzione di quello spirito rieducativo che la nostra Costituzione contiene e prescrive”.
Sempre secondo il Garante invece “strumenti come i permessi premio fanno parte del programma di trattamento e possono essere concessi dal magistrato di sorveglianza a chi non risulti socialmente pericoloso e abbia mantenuto una condotta regolare. Questi permessi mirano a favorire il recupero dei legami affettivi, culturali o lavorativi. Tuttavia, ci si può legittimamente chiedere se i criteri adottati per la loro concessione siano davvero sufficienti, o se non manchi una valutazione più profonda” ammette lo stesso Garante. Che insiste. “Implementare programmi di giustizia riparativa significa favorire un percorso che restituisca senso alla pena e dignità alla vittima. Si tratta di un passaggio che deve necessariamente coinvolgere la società e diventare parte integrante dei percorsi trattamentali all’interno delle carceri. Perché non la stiamo usando?” si chiede Cavalieri, sottolineando anche i risultati ottenuti nei sistemi più avanzati.