Su 1.434 posti disponibili, appena 349 domande. In città le lacune più gravi dell’Emilia-Romagna. Le liste d’attesa intanto si allungano ma tengono gli screening per la prevenzione oncologica, i migliori d’Italia.
MODENA – In risposta alla nuova norma che prevede un medico di base ogni 1.200 abitanti l’Emilia-Romagna ha lanciato il suo bando aprendo 1.434 posizioni, per lo più, in località periferiche, e con la possibilità di essere convocati anche in turni di emergenza urgenza. Ebbene, il risultato è stato pessimo: solo 349 professionisti hanno risposto, un quarto scarso del totale, e una stima definita ottimistica dice che accetterà l’incarico non più del 60%, circa duecento – un settimo del fabbisogno. I problemi sono noti, dal sovraccarico alle retribuzioni troppo basse, senza contare la ritrosia di molti medici di base ad accettare l’assunzione come dipendenti anziché l’inquadramento da liberi professionisti previsto finora: una petizione è stata lanciata dai medici che minacciano di rivolgersi al privato se le Regioni non faranno retromarcia, e le firme raccolte sono già 29mila. A Modena la carenza peggiore, mancano 267 medici, segue Bologna con 247. L’assessore regionale Massimo Fabi rassicura che i buchi rimasti verranno coperti con trasferimenti e incarichi a termine, “nessuno” sottolinea “resterà senza medico di famiglia”, ma nel frattempo i problemi si acuiscono. Tempi d’attesa lunghi anche per prestazioni urgenti, difficoltà nel concedere le ferie ai lavoratori; reggono, se non altro, gli screening programmati, che vedono l’Emilia-Romagna prima o seconda in ogni categoria in un’Italia a cui sono sfuggiti, secondo la fondazione Gimbe, oltre 50mila tumori nel solo 2023. Parte della risposta verrà dagli ospedali di comunità, infrastruttura sulla quale la nostra regione è medaglia d’argento sia per percentuale di strutture attivate – dietro al Molise – che in numero assoluto – dietro la Lombardia. La rimodulazione sui territori, per fungere da pronto soccorso o da medico di base collettivo, è cominciata, ma – conclude il presidente del GIMBE Nino Cartabellotta – “non ci sarà nulla da fare finché la spesa sanitaria rimarrà ancorata al 6,4% del PIL”. Quanto ai medici di base contrari al nuovo contratto, Fabi continua a sperare che ci ripensino – rispondendo alla chiamata non per calcolo, ma per vocazione.