La condanna a 30 anni di carcere per Salvatore Montefusco, l’uomo che uccise la moglie Gabriela Trandafir e la figlia Renata, a Cavazzona. Al centro delle decisione le motivazioni che hanno fatto molto discutere.
MODENA – “Motivi umanamente comprensibili, un passaggio infelice e non condivisibile, neppure ove formulato da una giuria popolare” sono le parole con le quali la Procura di Modena spiega il contenuto del ricorso in appello, firmato dal procuratore capo Luca Masini e dal pm Giuseppe Di Giorgio, contro la sentenza che ha condannato a 30 anni di carcere Salvatore Montefusco, l’imprenditore edile 70enne che il 13 ottobre 2022 uccise a fucilate la moglie Gabriela Trandafir e la figlia della donna, Renata, a Cavazzona di Castelfranco Emilia. La Procura aveva chiesto l’ergastolo, ma la Corte di assise ha deciso una pena inferiore, concedendo le attenuanti generiche e valutandole equivalenti alle aggravanti: una sentenza che aveva sollevato molte polemiche, rabbia e indignazione da parte dei famigliari delle vittime. Il giudice “non deve formulare valutazioni di soggettiva e opinabile ‘comprensione’ del reato ma cercare e argomentare in maniera convincente la sussistenza di elementi, oggettivi o soggettivi – scrive ancora la Procura – tanto più di fronte a episodi di inaudita violenza con i quali viene tolta la vita a due donne, madre e figlia”. Per la pubblica accusa la sentenza sul doppio femminicidio stravolge il senso comune. Nel ricorso si chiede anche il riconoscimento della premeditazione e dell’aver agito con crudeltà: Montefusco, si sostiene, ha esploso contro le vittime terrorizzate e in fuga ben nove colpi di fucile, impiegando cartucce da caccia a palline, inseguendole nel giardino e dentro la casa, “mettendo in essere contro le due donne tattiche da cacciatore che prima ferisce e sfinisce la preda e poi la finisce”.