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Payback sanitario, ricorso di Confindustria

La Regione Emilia-Romagna ha inviato alle aziende la richiesta di pagamento, “un atto dovuto -dicono gli assessori Colla e Fabi – per non infrangere i termini di legge”. La Regione ha però anche rinnovato la richiesta al Governo (che ancora non ha dato risposte) per affrontare insieme il problema

BOLOGNA – Dopo le polemiche degli ultimi due anni la questione del Payback nelle forniture sanitarie finirà in tribunale: Confindustria infatti ricorrerà agli avvocati per stoppare la richiesta, da parte della Regione Emilia-Romagna, di ottenere il pagamento entro soli 30 giorni. Un atto dovuto, spiegano gli assessori regionali Massimo Fabi (sanità) e Vincenzo Colla (Attività produttive) che continuano a chiedere un’azione comune nei confronti del Governo per una soluzione condivisa. “Non essendo arrivate risposte e soluzioni – dicono gli amministratori dell’Emilia-Romagna- per non infrangere i termini di legge la Regione deve intanto inviare alle imprese la richiesta di pagamento del payback sui dispositivi medici, atto a questo punto dovuto”. La Regione vuole però rilanciare subito una iniziativa, che porta avanti ormai da tempo: insieme alle associazioni di rappresentanza del comparto, intende chiedere al Governo un nuovo incontro, a tutela di una filiera strategica per l’economia regionale. Il comparto ha il suo fulcro nella bassa modenese. Il presidente di Confindustria Dispositivi Medici Nicola Barni definisce la richiesta “un atto grave” e “una misura iniqua” promettendo battaglia in tutte le sedi. Il meccanismo del payback sanitario deriva da una legge adottata nel 2015 dal governo Renzi per contenere gli sforamenti ai tetti di spesa sanitaria da parte delle regioni e prevede che le aziende che hanno rifornito il Servizio sanitario nazionale, sono chiamate a restituire il 48% (quota stabilita dalla Corte costituzionale l’anno scorso) della frazione di spesa che supera i tetti stabiliti. Per Barni la misura impatterebbe in modo grave sulle piccole e medie imprese, creando problemi di liquidità, e spingerebbe le grandi imprese a una fuga verso altri Paesi europei.

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